ERIC TEXIER: I vini naturali non sono birre alla frutta!

ERIC TEXIER

Eric nasce nel sud-ovest della Francia e trascorre i primi anni di vita tra anatre, sidro, vino e formaggi. Eric, gastronomo di natura, dopo aver lavorato per qualche anno come ingegnere nucleare, si è votato alla vita da produttore di vino naturale nella Cotes du Rhone Nord oramai da 20 anni.

Produce i propri vini nella zona di confine meridionale della Cotes du Rhone Nord, risalendo il fiume, tra Montelimar e Valence, sulla riva destra nella Drome con i vigneti di Brézème; sulla riva sinistra in Ardeche con i vigneti di Saint Julien en Saint Alban. Non a caso decide di fondare la propria azienda in questa zona, ma è a seguito di profonde ricerche storiche a cui è avvezzo, trovò che in quella zona la viticoltura prima dell’avvento della fillossera produceva vini di pregio. E’ così che iniziò, amante delle sfide, a reinterpretare la vera Syrah e la Serine (antica varietà di Syrah di cui possiede due vigne vecchissime di 90 anni) producendo quelli che oggi sono tra le più sentite e territoriali espressioni di questo vitigno in epoca moderna. Non a caso si ispira ancora oggi aprendo le poche ed ultime bottiglie che comprò in passato da Marcel Juge e Noel Verset.

Oltre alla Syrah ad Eric è cara la Roussanne che reinterpreta eccezionalmente in purezza, proveniente da suoli particolarmente calcarei ne risulta un bianco di grande complessità, nella semplicità.

Oggi Eric possiede in totale circa 12 ha di vigneto per una produzione che si aggira attorno alle 70'000 bottiglie.

L’idea di Eric è quella di produrre vini classici della Valle del Rodano Nord: vini fini eleganti, freschi, dalle gradazioni alcoliche moderate con la peculiare capacità di invecchiamento. Ed è così che Eric si rende testimone del passato. In vigna lavora in biologico apportando alcuni principi di permacoltura. In cantina riprende la tradizione locale: vinificazioni a grappolo intero in cemento ed affinamenti in tonneau e botte grande.

Questa intervista si è tenuta nel mese di novembre 2018, andremo a riportare il dialogo indicando V, per VITE ed ET per Eric Texier

- V: Ciao Eric, ci puoi raccontare la tua storia ed il tuo background fino alla produzione di vino?

- ET: Sono cresciuto a Bordeaux, in una famiglia in cui il buon cibo ed il buon vino erano dei valori importanti. Ho studiato Ingegneria dei Materiali a Lyone e ho lavorato per una decina di anni come ingegnere principalmente per il settore industriale chimico e nucleare… Nel 1993 ho seguito un percorso di studio di viticoltura ed enologia a Bordeaux, una catastrofe sul piano del sapere, erano le grandi annate dell’enologia alla Michel Rolland (ndr. Famoso enologo alla baste del concetto della “parkerizzazione” dei vini, ovvero: maturità, estrazione e concentrazione), poi ho effettuato il mio tirocinio presso Jean Marie Guffens nel Maconnais. Lì ho imparato la vinificazione tradizionale borgognona, senza aggiunte e senza manipolazioni intrusive, con lieviti autoctoni ed un utilizzo molto misurato della solforosa in vinificazione. Un altro mondo!

- V: Quale è stato per te il ruolo del Beaujolais? Come ti ha influenzato e chi tra i viticoltori che hai conosciuto ti a dato di più?

- ET: Il Beaujolais è il vino delle feste, del convivio, non cerebrale ma emozionale. Quel vino che bevi con gli amici ed una fetta di salame. Che è sempre al pari del momento in cui lo bevi. E’ anche la scoperta del terroir, l’evidenza che la struttura e l’estrazione non fanno il vino. Il più importante perché fu il primo dal quale ho appreso e scoperto dei vini così differenti è stato Joseph Chamonard e, a seguire, Jean Claude Chanudet (ndr. il genero) che lo ha succeduto.

Jules Chauvet anche ovviamente ma più dal punto di vista intellettuale. In tutti i casi dei vignerons ben in anticipo con i tempi (ndr. parla degli anni ‘80)

- V: Cos’è per te un vin naturel?

- ET: Un vino fatto senza artificio a partire da uve sane ed ottenute quanto più possibile nel rispetto della pianta, del territorio e dell’individuo.

Nessun lievito selezionato, nessuna manipolazione inutile e preventiva. Nessun’altra volontà di rispettare il terroir, l’uva ed il millesimo.

- V: Ed il vin nature?

- ET: Non faccio distinzione tra vin naturel e vin nature.

Non penso che sia pertinente fare una distinzione estetica tra le due nozioni.

La volotà recente di fare vini che mettono in primo piano l’aspetto fermentativo, l’assenza di tannino ed il frutto primario è, per me, una volontà di marketing, per piacere ad una nuova clientela proveniente dal mondo delle birre artigianali. L’esempio dei vini orange è estremamente rappresentativo di questa volontà.

A parte contesti tradizionali come il Collio, il Carso e poche altre zone italiane, fare vini macerati di Savagnin in Jura o di Gewurztraminer in Alsazia, non rispondono ad altro che alla domanda di mercato insita nei bevitori di Gueuse. E’ del marketing alternativo. Niente di più.

Questi vini detti vin nature non sono altro che una caricatura commerciale del movimento dei vin naturel.

- V: Ed il vin de terroir?

- ET: Un vino prodotto senza artifici enologici, senza la volontà di piacere a chicchessia.

- V: Perché hai scelto la Vallée du Rhone?

- ET: A causa dei vini del Rodano settentrionale che acquisto e bevo dagli inizi degli anni ’80: Gentaz Dervieux, Dervieux Thaize, Trollat, Juge, Verset.

La generazione che produceva i vini semplicemente ma con una profondità ineguale. E di Brézème, questo piccolo terroir un tempo tanto apprezzato che a causa degli imprevisti della storia e le fesserie della gente avevano fatto scomparire. Bisognava fare qualche cosa.

- V: La Vallée du Rhone ha molti grandi terroirs per produrre vino, perché hai scelto Brézème e Saint Julien en Saint Alban, cosa c’era dietro?

- ET: Brézème per la sua storia e per il suo terroir argillo-calcareo quasi unico nel Rodano nord… e per la finezza e la personalità dei vini dell’unico vigneron rimasto sulla zona, Pouchoulin. Sain Julien en Sain Alban è venuto successivamente grazie all’incontro con i fratelli Deschomets: dei vignerons profondamente umani e rispettosi della loro terra e delle loro vigne. Insomma dei terroir sottostimati e dimenticati ma incredibilmente attraenti.

- V: Quale è lo stile di Rodano nord che ami e che vorresti interpretare?

- ET: Lo stile in ripiego ed in finezza dei vignerons che ho già citato. Né troppo gioviali, il Beaujolais fa questo lavoro già bene, né troppo dimostrativi. Si possono produrre Syrah molto caricaturali in tutto il pianeta. Il Rodano nord ha qualcosa di diverso da offrire. Come la Borgogna per il Pinot Noir.

- V: Tu lavori con delle vigne molto vecchie di Serine, ma cos’è questo vitigno di Syrah?

- ET: Chiamiamo impropriamente Serine le Syrah non clonali che restano sparse dappertutto nel Rodano. Sono Syrah che erano state selezionate localmente in massale in funzione dei differenti microclimi e suoli. La loro diversità genetica è molto più importante rispetto alle Syrah clonali. Otteniamo dei vini molto meno spettacolari dal punto di vista aromatico ma spesso molto più complessi ed originali che con i cloni.

- V: So che sei stato influenzato a livello viticolo da parte di Masanobu Fukuoka e Bill Mollison, ci puoi raccontare qualcosa in merito?

- ET: E’ la scoperta di un’altra visione dell’agricoltura, fondata sul suolo come elemento primordiale e non esclusivamente un substrato organico minerale sul quale far crescere qualcosa apportando quello che pensiamo che sia necessario alla pianta. E’ una visione (ndr. la permacultura) del suolo come un organismo complesso e vivente con il quale instauriamo un dialogo, una collaborazione. E’ il rispetto del suolo come un essere autonomo e riconoscente se lo rispettiamo. E’ quello che troviamo anche nella biodinamica ma senza l’apporto esoterico delle teorie antrosopomorfiche di Steiner verso le quali sono meno a mio agio, sono dalla mia parte un figio dell’illuminismo.

-V: La vinificazione è un soggetto delicato, talvolta parliamo della “mano del produttore”, per te, cosa ricerchi nella Syrah? E nella vinificazione cosa ricerchi nel grappolo intero?

- ET: Nulla. Non cerco nulla di particolare. Parto dal principio che l’uva sana sia il risultato di una simbiosi tra pianta e terreno sano, vinificata poi nella maniera più semplice, trasmetterà al vino tutte le informazioni che raccolto nella storia e nella sua genesi: il suolo, l’andamento dell’annata, la natura profonda della pianta che le ha dato la vita.

Per me, il raspo è un portatore di una parte di queste informazioni. Usarlo necessita di grande misura e sensibilità. Sono da evitare delle estrazioni esagerate. Al contrario della vinificazione moderna. Che sia o evitando il contatto con il mosto come nelle macerazioni semi carboniche tradizionali del Beaujolais o per delle macerazioni corte e quasi senza estrazioni meccaniche che facevano i vignerons tradizionalisti del Rodano nord che mi hanno molto influenzato.

Ecco una piccola citazione di questo buon Jules (ndr. Chauvet): “I vignerons dovrebbero sempre accettare i loro vini per quello che sono, non per quello che vorrebbero che fossero

- V: Nella vita di un imprenditore di successo come sei, ci sono sempre delle scelte da fare. Quali sono state le tue scelte di successo?

- ET: (sorride) Di non provare a piacere né ad un mercato né ad una clientela. Ne non è scontata come scelta all’inizio, è precisamente per questa ragione che i vini attraggono in seguito la curiosità dei clienti. Le loro personalità si impongono, in pratica, indipendentemente dal vigneron. Raccontano la propria storia e non quello che vorresti che raccontino.

Ed infine, sono unici.

Non piaceranno a tutti, ma a quelli che piaceranno, li apprezzeranno per delle ragioni profonde e poco influenzate dalle mode. Dopotutto devo trovare 70'000 persone che bevano una mia bottiglia ogni anno. Non c’è bisogno di piacere a 500 milioni di consumatori.

- V: Tu sei un produttori che gira il mondo intero visitando i tuoi clienti, cosa ti chiedono in generale? Su quale soggetto sono curiosi?

- ET: A mio giudizio e da poco tempo, le domande girano un po’ troppo attorno ai “tics” (ndr. luoghi comuni) del mondo vin nature: la solforosa, le anfore, le uova in cemento…

Ma una volta passato questo cerimoniale di affermazione sociale, si finisce sempre per parlare del nostro piccolo mondo nella Drome e nell’Ardeche e delle nostre emozioni gustative e culturali attorno al vino e alla gastronomia.

Mi piacerebbe parlare più spesso del lato più rurale e paesano del vino: dei suoli, de l’impatto del cambiamento climatico, dell’impoverimento generico della Vinifera… Verrà con il tempo, un giorno o l’altro soprattutto grazie a chi ci rappresenta e presentando i nostri vini ai clienti finali.

- V: Se domani finisse il mondo, quale vino berresti di tuo e quale di altri? Solo due bottiglie. Con quale pietanza?

- ET: Una Riserva di Mas du Gourgonnier per la sua emozionante semplicità con una bistecca di diaframma di maiale nero della guascogna. Ed una di Vieille Roussette di Brézème accompagnato da un formaggio di capra fresco, appena fatto, di Charnay, cosparso di olio d’oliva italiano, una punta di fior di sale e del pane fatto in casa. Ma soprattutto il più possibile di amici e tutta la nostra famiglia.

Conoscendo Eric, si scopre subito una persona di una sensibilità e di una cultura fuori dal comune.

I suoi vini rispecchiano il suo essere, la sua famiglia e la sua storia

Vogliamo darti un’occasione per conoscerlo veramente…

Come?

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A presto Scopritore

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