Possiamo affermare con certezza che lo JURA è la regione vitivinicola più “verde” in assoluto con 1/3 della produzione totale in naturale (dato del 2016).
Negli ultimi tre decenni però, grazie a pionieri del calibro di Pierre Overnoy, Alain Labet, Stephane Tissot, che hanno saputo comprendere a fondo il potenziale dei vitigni, dei suoli e delle zone; si è assistito ad una nuova primavera, dove moltissime aziende utilizzano pratiche di agricoltura biologica e in cantina attuano un lavoro assolutamente non invasivo.
Ora, per darvi la possibilità di conoscere e approfondire la storia e la cultura vitivinicola “jurassica”, abbiamo realizzato un’intervista alla famiglia Labet.
Si parte da lontano, dal 1950….
Si parla di vinificazioni, di agricoltura, di stili, di famiglia. Si capisce una volta di più come il vino sia una componente del terroir e non viceversa
Abbiamo realizzato questa intervista per dare una testimonianza reale di come intendiamo il vino e quali siano i principi di selezione VITE
Le risposte dell’intervista sono dei due fratelli, Julien e Charline Labet.
A questo scopo le domande seguirano con l’indicazione V di VITE e le risposte DL di Domaine Labet.
Rotalier, febbraio 2018
V: Come e quando è nata Domaine Labet?
DL: Tutto è cominciato nel 1950 con nostro nonno Jean Labet, il papà di Alain, allevava 10 mucche da latte Monbéliarde, a Rotalier. Nel basso Jura era normale avere le mucche da latte per conferire poi alla fruitière più vicina. Oltre alle vacche possedeva 2,5 ha di vigneto. Alain, nostro padre, apre la propria azienda a 24 anni, nel 1974 e due anni dopo lo raggiunge nostra madre, Josie.
V: Quale è l’idea di Alain all’inizio?
DL: Alain compra in partenza 1,5 ha di vigne ma continua l’attività poli colturale di allevamento delle mucche da latte. E’ solo nel 1988, quando nostro nonno va in pensione che Alain decide di dedicarsi al 100% alla viticoltura, negli anni infatti era passato dai due ettari iniziali fino a nove, di cui sei da lui piantati negli anni. Allo stesso tempo recupera vigneti vecchi di 50 anni, tutto in selezione massale.Alain si interessa molto velocemente al concetto di Terroir, in particolar modo a quella che poteva essere l’espressione del terroir in Jura.
V: E’ corretto parlare di “stile Labet”?
DL: Possiamo dire che intorno al 1986 comincia a comunicare i suoi vini secondo la parcella, come in Borgogna e partendo dalle vigne vecchie inizia a parlare di: Fleur de Marne Le Montceau, Fleur de marne La Bardette, Fleur de Marne en Billat. Nonostante questo la vinificazione rimane ancora più o meno ossidativa. L’affinamento avveniva inizialemente in botti grandi più di 6hl e successivamente in volumi più piccoli, inferiori a 6hl. Ecco dunque da questo momento comincia un periodo dove il lavoro di nostro padre inizia ad essere riconoscibile, unico, e dunque con un suo stile personale. Riteniamo però che il vero stile Labet abbia inizio dal 1992 quando viene realizzato il primo vino ouillé al 100%, il Fleur de Chardonnay.
V: Cosa ha portato Julien?
DL: [Julien ride] apertura! Curiosità! Vedere molto oltre i confini dello Jura! Confrontarsi con il mondo intero in modo critico e bevendo ed assaggiando vini…Inizio con mio padre nel 1997, e immediatamente apporto uno stile preciso negli ouillages (ricolmature), nel giro di tre anni, inserendo a poco a poco una batteria di barrique usate di diverse provenienze e tostature arrivo ad ottenere dei vini sempre più freschi e precisi. Quindi diciamo che lo “stile” Labet dell’inizio arriva ad il punto di massima espressione.
V: In che senso stile Labet degli inizi?
DL: Perché effettivamente c’era ancora parecchia strada da fare, nel 2003 rilevo 3ha per conto mio [prosegue Julien] e inizio a definire un approccio agricolo in biologico, diciamo che mio padre è sempre stato per il bio, dal 1974 al 2013, in 40 anni di attività solo per meno di dieci anni ha usato i diserbi, in particolar modo negli anni 90, per comodità…via scelte che poi sono state lasciate ovviamente… comunque nel frattempo entrano in azienda anche Charline e Romain.Io mi occupavo principalmente dei miei vigneti, Charline e Romain di quelli della Domaine. Poi a livello di cantina seguivamo tutto assieme anche se per conto mio iniziavo a fare i primi esperimenti di vinificazioni senza solforosa, in particolare sui rossi dal 2008, poi dal 2009 tutti i rossi abbiamo deciso di vinificarli senza solfiti. I bianchi li continuavamo a solfitare ma solo al momento dell’imbotigliamento, molto poco, se necessario, non più in pressatura. Così possiamo dire che qui inizia il vero e proprio “stile Labet” che oggi si conosce.
V: e oggi invece?
DL: Dal 2013 i nostri genitori vanno in pensione, siamo noi fratelli accomunati dallo stesso spirito e le stesse idee, sempre meno interventiste, i nostri vini li vogliamo integrali e puri succhi di terroir, non dobbiamo piacere a tutti ma soprattutto devono piacere a noi.
V: Parliamo invece di suoli, in Jura e a Rotalier, come sono strutturati?
DL: i suoli in Jura si vanno a formare nell’era jurassica tra 200'000 e 135'000 milioni di anni fa. Il mare ricopriva lo Jura e le sabbie compattate sono all’origine della fomazione delle marne, conchiglie, crostacei ed ammoniti sono invece all’origine dei calcari. Possiamo dire dunque che all’origine della qualità dei vini dello Jura sicuramente abbiamo questi suoli particolarmente minerali. Dunque possiamo catalogare i suoli in sue grossi strati marnosi:
- A la base, le marne del TRIAS, dominate da marne variopinte: rosse verdi gialle grige
- In superfice, le marne di LIAS, dominate da marne grigie ricoperte di calcare.
Parlando di Rotalier in particolare, nel sud della regione, denominata anche Revermont, ci troviamo proprio di fronte alla piana di Bresse ed in vigneti sono esposti a ovest. La maggior parte dei vigneti sono su di un blocco argillo calcareo,
Les Varrons, del bajociano. Altrimenti i suoli si dividono tra zone di forte pendenza dove troviamo in particolar modo grifée ed ammoniti, sennò vigneti su marne blu di LIAS.
V: Invece parlando di vigne vecchie e di massale?
DL: Devi considerare che lo Jura ha un’origine fortemente contadina, qua si allevavano mucche da latte! L’importante era portare il latte alla cooperativa. Sai le cooperative anche chiamate fruitières sono nate alla fine del 1800 con l’idea che mettere in comune faceva “fruttare”, da qui il nome. Ebbene a livello vitivinicolo siamo sempre stati una regione in ritardo e sconosciuta alla più parte di Francia. Questa è stata la nostra fortuna!!! Questo ci ha preservato!!! Negli anni ’80 quando venivano diffusi prodotti di sintesi per la vigna e venivano promossi i “cloni” per piantare nuovi vigneti, in Jura non ci veniva nessuno! [scoppia una grossa risata…poi seri] Così che da noi si è preservato il puro stile contadino una grande varietà di cloni e vecchie varietà, e di conseguenza vigne vecchie ancora produttive che oggi hanno 80 anni. I cloni li abbiamo provati anche noi da nostra selezione per vedere cosa davano, ed è sempre stimolante vedere le differenze tra selezione clonale e selezione massale sulla stessa vigna. Fa parte del processo di conoscere il proprio terroir al 100%, nel nostro caso anche una buona clonale intesa come selezione di un clone corretto per il nostro terroir è in grado di dare un buon risultato anche se generalmente notiamo che c’è meno complessità e più materia (estratto) rispetto alla selezione massale a parità di vinificazione.
V: Cosa mi dite del clima negli ultimi anni? Trovate che sia un problema?
[Charline sicura afferma] All’epoca di mio nonno ed allo stesso modo di mio padre, negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80, il clima era piuttosto rigido, pensa che la neve poteva arrivare durante il periodo delle vendemmie! Il grado alcolico dei bianchi era di 11, 11,5, raramente e solo nelle migliori annate si arrivava a 12,5. E’ stato solo a partire dagli anni ’90 che abbiamo visto una prima evoluzione, nettamente qualitativa del clima. I vini bianchi arrivavano senza problemi a 12-13 gradi. Dunque se siamo arrivati ad avere un’evoluzione in positivo, soprattutto sui bianchi è dovuto a cambio climatico, tutto sommato positivo per noi. Per i rossi invece non si arrivava a delle maturità medie interessanti per dei prodotti di qualità. [prosegue] Negli anni 2000 però il costante innalzamento delle temperature invece ci ha dato dei problemi, in particolar modo nelle annate 2003, 2009, 2015, annate davvero calde per noi con rischi di arresti fermentativi in cantina. E’ dunque un problema il clima? In effetti lo sta diventando ma senza queste temperature avremmo continuato a fare vini poco alcolici, scarsi della materia necessaria per esprimere al meglio il nostro terroir. Devi considerare che un buon vino bianco per noi è frutto dell’esperienza di poter leggere l’annata in vigna e riuscire a mantenere un equilibrio tra suolo vitigno e clima, dunque gli elementi per poter arrivare ad avere uve mature con acidità importanti sui 3, 3,20 di pH. Il clima sempre più caldo ci spinge a trovare nuove soluzioni: adattare la produzione al potenziale del millesimo, vendemmiare precocemente, scegliere vasi vinari che favoriscano un mantenimento della freschezza. Ma fa parte del nostro lavoro questo ed è effettivamente l’interpretazione del nostro terroir che da origine allo stile della nostra azienda.
V: Lo Jura è la regione più verde di Francia, a cosa pensate sia dovuto?
DL: Come dicevamo prima, sicuramente la realtà locale contadina e l’assenza dello Jura, il riconoscere la propria terra come un bene comune che va preservato innanzitutto per se stessi ed in secondo luogo per mantenere il terreno vivo per il futuro. Questo è lo spirito che ci accomuna. Ci sono 200 aziende che imbottigliano il proprio vino in Jura, 50 sono in bio, è un grande risultato ed è sempre in crescita negli ultimi anni. Il gruppo Le Nez dans le Vert, nato nel 2010 aveva nella sua missione quella di accomunare le aziende in bio, da quel momento abbiamo assistito ad un vero e proprio effetto “boule de niege” (=palla di neve).
Come famiglia siamo stati sempre profondamente sensibili, in quanto semplicemente esseri viventi al nostro ambiente naturale. I nostri genitori ci hanno trasferito il “gusto” della natura vibrante, dello spazio, dell’aria e degli elementi.
V: Parlando invece di vinificazione, spiegatemi il perché ricercate sempre di più una vinificazione senza utilizzo di solforosa o comunque quantità sempre minori.
DL: Nel periodo che comprende gli anni tra il 1998 ed il 2008 ci siamo concentrati molto sull’esprimere vini che fossero espressione di una parcella, in modo puro, discostandoci dalla tradizione dei vini ossidativi. Abbiamo per questo scelto la barrique e l’ouillage (=ricolmatura) perché volevamo dei vini freschi, il più precisi possibile. Siamo sempre stati attenti all’utilizzo di solforosa però notavamo che nonostante le piccole quantità i vini li dovevamo affinare almeno un anno prima di venderli in modo tale da permettere loro di integrare e digerire la solforosa. Siamo sempre un po’ preoccupati di una certa estetica che regna nel mondo del vino, vini che sembrano talvolta perfetti, ne eravamo stufi. Cerchiamo di produrre vini dinamici, vivi! Anche a costo di far passare dei leggeri difetti a vantaggio però di un’espressione pura e di un gusto non solo olfattivo, ma anche tattile. Non è sempre stato così, ci siamo evoluti nel nostro gusto negli anni, soprattutto a partire dal 2005 quando abbiamo iniziato a conoscere parecchi produttori di altre regioni che lavoravano senza solforosa, eravamo affascinati e abbiamo iniziato a lavorarci su, in maniera empirica. Nonostante questo non demonizziamo la solforosa, soprattutto se ben utilizzata in frangenti di particolari fragilità micro-biologiche.
V: I vostri vini rossi al contrario dei bianchi sono tutti senza solforosa aggiunta, perché?
DL: Innanzitutto consideriamo la suddivisione vitata aziendale, i rossi in percentuale sono una piccola parte della nostra produzione. Nel totale dei 13 ha che oggi noi lavoriamo su 45 parcelle diverse, 4 comuni e 13 lieux dits, l’83% sono vitati con chardonnay (66% - 8.7 ha) e savagnin (17% - 2.2 ha ), il restante 23% sono rossi: poulsard (8% 1.1 ha), pinot noir (6% - 0.8 ha), gamay (1% - 0.16 ha) e trousseau (1% - 0.16), oltre a questo sono presenti piante di vite a bacca rossa quali: gros béclan, petite béclan, enfariné, tintourier.
Di conseguenza dei rossi che sono meno di un quarto della nostra produzione facciamo vini che ci piacciono, con uno stile nature senza solfiti. Li produciamo con questo spirito dal 2010: vini rossi leggeri, di colore chiaro e con una bocca poco tannica.
La decisione è stata presa perché, a parte il nostro gusto, il clima settentrionale non permette una grande maturità sui rossi e dei rendimenti abbastanza bassi, inoltre abbiamo notato che la filtrazione tendeva a smagrirli troppo, toglieva la polpa. La vinificazione semi-carbonica che effettuiamo ci porta a mantenere carnosità, a favorire una sensazione di polpa accompagnata da un frutto croccante.
Al momento la macerazione semi-carbonica è effettuata a freddo per circa tre settimane, sappiamo ovviamente che i tempi si possono allungare molto, magari lo sperimenteremo in futuro. Scegliamo una vinificazione semi-carbonica perché ci aiuta ad esprimere il terroir ed il frutto. La carbonica pura invece non sarà una nostra scelta perché tende a dare dei risultati gusto chewingum alla frutta che non ci piacciono e standardizzano tutti i vini a discapito dell’espressione territoriale.
V: In cantina siete passati nei primi anni 2000 a 100% barrique ma oggi invece troviamo altri vasi vinari in cantina, cosa è successo?
DL: Ritorniamo alla questione del clima, le temperature medie dal 2000 al 2017 sono cambiate enormemente, sempre più caldo, di conseguenza abbiamo trovato che alcuni vasi vinari ci permettevano di preservare meglio una certa freschezza che ricerchiamo nel vino, and esempio:
- L’uovo di cemento: un vaso vinario ossidativo ma che è di natura più neutra, senza legno che permette di esprimere il vino in modo più puro. Allo stesso tempo esprime molto bene gli aspetti minerali del vino aiutando anche che lo stesso si arricchisca nel grasso grazie ai moti convettivi circolari che ivi si ritrovano.
- Le botti grandi recenti con volumi dai 6 ai 20 hl. Nelle annate calde avere una massa più importante in un vaso vinario meno ossidativo rispetto ad una barrique permettono di avere una dinamica fermentativa migliore senza perdere in freschezza.
Troviamo che sia molto interessante lavorare con più vasi vinari sulla stessa cuvée, questo ci aiuta a mostrare più sfaccettature della stessa parcella.
Crediamo che questa intervista possa portare una consapevolezza maggiore di cosa rappresenti e cosa rappresenterà lo Jura nei prossimi anni
Lo Jura è una delle regioni che più riesce ad ottenere vini unici e di personalità
Le motivazioni sono da ricercare; nei suoli, nelle vinificazioni, nei suoi vitigni e nella storia delle persone
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